UN LEGITTIMO PENSIERO PER UN’ALCHIMIA CIVICA
di Fabio Pascapè Responsabile del PAN Palazzo delle Arti di Napoli
Sono uomo d’apparato e non d’arte. Grigio e spesso nero perché, alla fine, sono i colori che preferisco. Passo la maggior parte del tempo prescritto (ed oltre… ma questo non ditelo in giro) con la testa fra le carte. Di questi tempi è difficile far quadrare i conti, le risorse sono poche ed è già tanto garantire l’apertura della struttura. Offrire gli spazi è diventato la via principale (se non l’unica) di sostegno alle attività culturali. È bene intendersi. Mantenere aperta una struttura come il Palazzo delle Arti di Napoli è stata una scelta di coraggio della Civica Amministrazione che, nonostante una situazione congiunturale drammatica, ha evitato di fare la cosa più banale, dannosa e comune che in genere si fa in epoca di crisi: tagliare i fondi alla cultura. Se il PAN avesse chiuso due anni e mezzo fa, solo qualche rara voce si sarebbe levata. Vox clamans in deserto? Forse. Fortunatamente non è andata così, e quando alzo la testa dalle carte vedo sale espositive popolate di opere e affollate di cittadini. Mi chiamano. «Il vernissage sta per iniziare». Tiro fuori la testa dalle carte e raggiungo il primo piano. Bambini, ragazzi, genitori, istituzioni, cittadini. Le sale sono gremite. Vado col pensiero ad una riunione di azionisti civici. Passione, partecipazione e calore. Tra me e me rifletto su come il tempo e l’azione civica stiano ridisegnando l’identità del PAN. Cesello o fucina? L’associazione è “Aporema”, il terreno è l’istituto scolastico comprensivo “Casanova – Costantinopoli” di Napoli il maglio sono tre artiste come Rosaria Iazzetta, Maram e Daniela Politelli, la rete è l’Ordine degli Avvocati, l’Università Parthenope, il Comune di Napoli, l’Ufficio Scolastico Regionale. Campo di confronto è l’arte come legittimo strumento di conoscenza del proprio essere e sentirsi al mondo. Le artiste hanno lavorato a lungo con i bambini e con i ragazzi. Mi trovo di fronte ad opere d’arte che assumono senso in funzione “dell’ambiente di sviluppo” nel quale sono nate. Opere ricche di senso. La scuola marca la differenza del gesto artistico. Una scultura di metallo poggia i suoi acuminati pseudoarti su banchetti di scuola. Lettini in miniatura accolgono germogli poggiati su morbido cotone bianco. Grandi fogli giacciono arrotolati sul pavimento in un contesto di quadretti bianchi. Mai più algidi esercizi di stile. Il gesto artistico prende e dà senso alla scuola. La scuola prende e dà senso al gesto artistico. Il connubio nelle sale del PAN appare subito inscindibile, e subito propone un patto. Lo spazio civico non serve solo ad accogliere. Non è mero spazio di affitto o di munifica concessione. Lo spazio espositivo diventa setting civico. Ambiente di sviluppo. Moltiplicatore di energie civiche. Nasce così la proposta di un protocollo di lavoro fra le istituzioni presenti. Il patto è siglato davanti ai bambini, ai ragazzi, ai genitori agli insegnanti, alle artiste. Occhi incuriositi, coscienze attente, notai civici. Non si può sbagliare, non si torna indietro. Pacta sunt servanda: echeggia nella mia memoria di liceale la voce del professor Remondelli e la sua incomparabile “pappagorgia”. “Soprattutto quelli civici”, aggiunge la mia coscienza. Torno nel mio ufficio. Rimetto la testa nelle carte. Per la prossima inaugurazione servono lampade. Occorre attintare le sale. Manca la sorveglianza. Non ho soldi per pagare lo straordinario. Una collega è caduta tornando a casa e devo curare la pratica Inail. Riprendo a combattere con vigore rinnovato. Un “legittimo pensiero” può dare tanta forza… Il PAN è ormai laboratorio di cittadinanza. Le soluzioni verranno, e con esse le giuste alchimie… civiche. “Gentile Supervisore”, digito sulla tastiera. L’ultima nota del giorno prende corpo e forma. Provo ad ottenere un budget per pagare qualche ora di lavoro straordinario. Il protocollo informatico mi rassicura “protocollazione effettuata”. La giornata è finita. Anche gli uomini di apparato hanno una famiglia. Domani è un altro giorno. Si torna a casa.